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Cultura della città

7 Settembre 2005
per rivista Pollicino Gnus numero di ottobre

La civiltà di un Paese si misura nella vita delle proprie città, cioè nell’urbanistica (tecnica che si occupa della città), nella pianificazione (metodo e insieme di strumenti per governare le trasformazioni), nella qualità della progettazione architettonica ed edilizia che, insieme al tessuto economico-politico, determinano la qualità sociale del vivere quotidiano.
Oggi il 57% della popolazione mondiale abita in città (mentre alla fine del XIX secolo solo il 10% del mondo era urbanizzato), di questa percentuale il 60% si trova in situazione di periferia, per le molteplici cause che spingono gli abitanti fuori dalle città; contemporaneamente le aree rurali si sono ridotte drasticamente e il traffico veicolare, per il trasporto di persone e merci, e i rifiuti sono le “emergenze” ambientali che accomunano tutte le città mondiali.
L’esplosione della città, il progressivo evolversi della dispersione urbana che genera la “metropolizzazione” si riassumono in una parola sola, ”SPRAWL”, termine linguistico coniato negli anni ’60, che applicato all’urbanistica intende descrivere una crescita urbana senza regole e senza forme. Sprawltown è il titolo del libro di Richard Ingersoll (ed. Meltemi) nel quale l’autore descrive questo particolare fenomeno di morfologia urbana, che però ingloba anche aspetti esistenziali; infatti, la diffusione dello sprawl, scrive l’autore, non dipende soltanto da come si occupa lo spazio, ma soprattutto da come lo si vive. Gli “ingredienti” dello Sprawl sono il turismo, i centri commerciali, i centri amministrativi, i complessi industriali e direzionali, le tangenziali, i parcheggi, gli svincoli, i mezzi telematici (es. antenne varie), le villette, i vuoti, tutti “consumatori” di suolo; a questi si aggiunge una politica dei trasporti incentrata esclusivamente sull’uso dell’auto, altro consumatore di suolo.
La frammentarietà di un simile paesaggio urbano, percepito, e non solo visivamente, come fotogrammi, dove tutto è sfondo e figura nello stesso tempo, unita alla frammentarietà del nostro vivere quotidiano, dove abbiamo un “posto” per ogni funzione (nasciamo in clinica, invecchiamo nelle abitazioni per la terza età, moriamo in ospedale) e dove si moltiplicano i luoghi che ci offrono solo una occupazione provvisoria: i centri commerciali, le multisale, i club di vacanza, i residence, le catene alberghiere, ecc.   Tutto questo porta ad uno “straniamento”, ad un allontanamento degli abitanti dall’identificazione nei luoghi urbani, negli spazi collettivi della vita comunitaria che non può, nel tempo, che impoverire-degradare, a dir poco, la qualità sociale delle nostre città.

Abbiamo dimenticato che il concetto di “LUOGO” ha tre caratteristiche: è identitario, cioè tale da contrassegnare l’identità di chi ci abita; è relazionale, nel senso che individua i rapporti reciproci tra i soggetti in funzione di una loro comune appartenenza; è storico perché rammenta all’individuo le proprie radici (dal libro “Non luoghi: introduzione ad una antropologia della sur- modernità” di Marc Augé).
Le città sono complesse e problematiche, ma l’alternativa non è la fuga dalle stesse , l’unica vera alternativa è “il cambiamento” della città. E’ importante volere questo cambiamento e credere nella possibilità che ogni città, ogni paese può migliorare.
Se si vuole affrontare l’emergenza ambientale, bisogna incominciare da subito facendo solo due cose: uno, usare meno l’auto, due, dividere la spazzatura.
Occorre quindi avere una visione progettuale di città a dimensione di “uomo” e perseguire in ogni agire l’interesse collettivo: pianificazione e programmazione urbanistica, dunque, e trasporto pubblico.

R. Benevelli