12 Novembre 2004
Come tutte le mattine ho aperto le finestre che si affacciano sul verde delimitato dal retro delle case di via Compagnoni, mi piace vedere le loro “sagome”, con il colore del tinteggio mi riportano all’infanzia, alle case in miniatura con cui si faceva il presepe; nel rientro all’ora di pranzo di nuovo apro quella finestra, l’ho fatto anche oggi, ho cercato quelle sagome e … non le ho trovate, il respiro che si ferma, lo sguardo che cerca … ho capito, o meglio ho “sentito” cosa significa “memoria”, memoria della città.
Abito qui da soli otto anni, allora ho pensato a chi in questo quartiere vive da ventenni, a chi in quelle case ha vissuto per anni, a come, rientrandovi una volta ricostruite, o semplicemente transitando per la strada o nel verde del quartiere, cercherà con lo sguardo le “sue sagome”, le sue relazioni, e a come il respiro che si ferma sia simile al “vuoto”.
E’ solo l’orizzonte ad est di casa mia, ma quella sensazione di vuoto che oggi ho provato è la stessa che provo quando sola mi muovo nei luoghi che ho vissuto della mia città; lo stesso fare, il vuoto che riaffiora e il ricordo di quei vuoti che si perde in contorni sfuocati dimenticandone l’identità.
Penso a quanto è già stato raso al suolo, via Mascagni ex-Bainsizza, ex-area Lombardini, ex-Gasometro, ex-magazzini Parmigiano Reggiano, a quanto altro sarà raso al suolo, ex-casa di riposo Ospizio, ecc… certo realtà da cambiare, ma non a occhi chiusi, senza tenere conto della loro essenza e della loro storia, demolendo ogni traccia della loro esistenza, della loro identità.
Mille persone hanno assistito alla “lezione magistrale” del noto arch. Calatrava e penso che pure sfrondando tra questi i curiosi, i presenzialisti ecc., sono comunque tante le persone, gli architetti, i professionisti in generale, che a Reggio Emilia amano l’architettura, che hanno il senso della bellezza, che amano la propria città, perlomeno è un segnale di interesse.
Com’è, allora, che tutto tace?
Eppure fare architettura (fare edilizia) è un’attività progettuale che incide sul modo di vivere, sui rapporti tra potere pubblico e privato, sui processi di sfruttamento delle risorse naturali, sul paesaggio, sul rapporto uomo-natura, e lo fa non come uno dei tanti aspetti della cultura, ma in modo diretto e profondo senza che i suoi fruitori possano scegliere se accettare questa azione od opporvisi.
S’inaugurano tangenziali, che tangenziali non sono, si progetta di costruire centri commerciali in ogni dove, che i cittadini, almeno a gran voce, non hanno mai chiesto, incuranti dei luoghi, dei centri abitati e degli abitanti, dell’ulteriore mobilità che inevitabilmente genereranno; si consente la monetizzazione del verde pubblico, nonostante che da ventenni non si realizzi un parco degno di questo nome, nessuno parla di servizi, di poli scolastici, di edilizia pubblica, tutto tace…
Ed io mi chiedo «dove siamo noi architetti?»
Benevelli arch.