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Ma quanti reggiani sanno cosa sta succedendo in via Compagnoni?

Settembre 2010

In questo periodo di ferie generalizzate, da giorni appaiano sui giornali locali articoli che parlano dell’imminente demolizione ed abbattimento di numerosi edifici in via Compagnoni.
Io da qualche tempo mi chiedo se ha senso quest’operazione definita di ‘riqualificazione urbana’.
E’ davvero così economico abbattere per poi ricostruire un intero quartiere? Non sono una urbanista o un imprenditore edile, mi pare però strano che nessuno si preoccupi di ciò che sta succedendo al quartiere e soprattutto che nessuno pensi allo shock delle persone che per ventenni hanno vissuto in queste case per essere poi costretti ad abbandonarle. Negli appartamenti deserti si trovano oggetti lasciati dai vari inquilini; oggetti che raccontano le vite di chi li ha comprati, usati, conservati, abbandonati. Uno spezzone della società reggiana e della sua evoluzione. O si tratta invece d’involuzione? In un momento così delicato in cui la grande immigrazione mina il mantenimento d’usi, costumi e tradizioni locali, possibile che non si sia pensato a nessun progetto che potesse salvare, conservare e tramandare questi aspetti di vita quotidiana che andranno così persi per sempre? Come adulto e cittadino responsabile non posso fare a meno di chiedermi quali siano i vantaggi della riqualificazione urbana alla quale stiamo assistendo silenziosi.
Era davvero una zona troppo popolata? Priva di servizi ( credo ci si riferisca soprattutto alla mancanza di garages)? Senza spazi d’aggregazione? Senza verde? Perché cortili interni ombreggiati da grandi alberi ed attrezzati con panchine non sono considerati spazi che favoriscono e permettono l’aggregazione? Neppure per i bambini e gli anziani che abitano negli appartamenti che vi si affacciano? Si è parlato tanto di quartiere degradato: a chi attribuiamo la causa?
Agli stessi abitanti o all’ex IACP ( Istituto Autonomo Case Popolari) o all’ACER ( Azienda Case Emilia Romagna) proprietari degli edifici?
Nel corso degli anni devono essersi avvicendate scelte politiche e/o economiche diverse e talvolta contraddittorie se per decenni non sono stati fatti nemmeno i normali interventi d’ordinaria manutenzione, per poi iniziare e sospendere, circa 12 anni fa, la ristrutturazione d’otto palazzine su trentaquattro ed infine si è arrivati alla decisione di demolire, abbattere e ricostruire ex-novo.
Sarebbe importante capire perché si è ritenuta vantaggiosa questa operazione.
Saranno costruiti 122 alloggi di meno. Allo stato attuale delle sei palazzine già abbattute, dopo quattro anni dall’inizio lavori le opere di ricostruzione non sono ancora completati e la qualità architettonica e edilizia dovrebbe esser oggetto di dibattito e confronto.
In questi ultimi giorni sono state smantellate altre sei palazzine, ora con un aspetto spettrale, e nella attesa di esser demolite.
Lasciamo numeri e cifre a chi si occupa di bilanci, ma una riflessione sui costi che questa opera di riqualificazione comporta è doverosa. Quanto costano tutti i passaggi necessari per predisporre un edificio alla demolizione? Quanto costa la demolizione stessa? Quanto costerà la ricostruzione? Quanto tempo servirà per completare i lavori e permettere il ripopolamento del quartiere? Che disagi ha provocato, provoca tutt’oggi e provocherà questa opera di riqualificazione a chi continua a risiedere nel quartiere in palazzi limitrofi all’area in cui sorgevano le palazzine vecchie e risorgeranno quelle nuove? “L’evacuazione” degli inquilini ha comportato costi economici o solo psicologici? Non credo infatti sia facile traslocare forzatamente dopo aver vissuto per decenni e decenni nello stesso appartamento. E proprio pensando alle persone ed alle famiglie che abitavano in queste palazzine viene da chiedersi se l’auto-recupero degli edifici da parte degli stessi inquilini non poteva essere analizzata e valutata come possibile scelta alla demolizione totale. In tal modo si poteva pensare ad una riqualificazione del quartiere ed al contempo rispondere alle esigenze di tante famiglie in lista d’attesa per un alloggio popolare. E gli enti pubblici non avrebbero dovuto accollarsi le spese completamente. In questo ultimo paio d’anni si è verificato un altro fenomeno che rischia di esser strumentalizzato per fini diversi da quelli che lo hanno motivato. A seguito delle operazioni di trasloco degli inquilini si sono liberati appartamenti che l’amministrazione ha mantenuto vuoti per anni. Alcuni di questi alloggi vuoti sono così stati occupati da ragazzi e famiglie cui va il merito se non altro di aver sollevato il “problema casa” esistente anche a Reggio Emilia, un tema del tutto assente nel dibattito pubblico e politico locale.

Questa la mia ultima richiesta su cui riflettere: è più illecito occupare degli alloggi pubblici vuoti o lasciare per decenni degli alloggi pubblici vuoti?

R. Benevelli