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Sick building syndrome – Convegno 1999

Siena, 3-6 Novembre 1999

XVII CONGRESSO NAZIONALE SIMP
“Significato e senso della malattia”

Simposio dell’Area Management “Psicosomatica delle organizzazioni”

Titolo della comunicazione:
SICK BUILDING SYNDROME
Autrici: Arch. Rossana BENEVELLI e Dr. Manuela GENNARO

L’intendimento di questa relazione è quello di fornire il proprio contributo in due direzioni:
da una parte, considerando il contesto particolare proposto dalla Sessione dell’Area Management sul tema “Psicosomatica delle organizzazioni”, a sua volta inserita nel quadro generale più ampio del congresso della S.I.M.P. dal titolo “Senso e significato della malattia”, intende offrire un approccio particolare alla interpretazione del malessere, tenendo conto delle influenze che l’ambiente esercita sull’essere umano, in specifico negli ambienti lavorativi;
dall’altra sottolineare l’importanza e la ricchezza che l’integrazione tra diverse professionalità, in questo caso architetto e  psicologo,  può offrire per migliorare la dimensione umana, ponendosi in un’ottica psicosomatica.

Nella vita di tutti i giorni il nostro tempo lavorativo occupa almeno un terzo della giornata, quindi una fetta considerevole della nostra esistenza. Tralasciando le occupazioni che per loro natura si svolgono all’esterno (agricoltura, edilizia, ecc.), molti di noi operano in ambienti confinati: l’ufficio, lo studio, lo stabilimento, il magazzino, il negozio, ecc. Da queste semplici premesse si può certamente intuire l’importanza che rivestono per la nostra salute gli spazi in cui trascorriamo il nostro tempo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.), dopo aver avviato specifici studi in merito, ha verificato che, ad esempio, l’inquinamento dell’aria negli ambienti interni può essere talvolta superiore a quello dell’ambiente esterno, per effetto di diverse sostanze: emanazioni provenienti da materiali artificiali, vernici, diluenti, rivestimenti sintetici, scarsa ventilazione, ecc.; ma esistono anche altre forme di nocività per l’essere umano: l’eccessiva illuminazione artificiale, l’utilizzo di videoterminali, il troppo rumore, ecc. che tutti insieme possono contribuire ad aumentare il senso di malessere dell’individuo. Infatti, sin dal 1983 l’OMS ha identificato una sindrome da edificio malsano, che viene indicata come “Sick Building Syndrome”.
E’ facilmente comprensibile come il tentativo di affrontare e risolvere questi problemi non si concretizza attraverso il semplice e banale “ritorno al passato”, ma passa prima di tutto dalla consapevolezza della questione e successivamente da un utilizzo più adeguato sia delle risorse che delle conoscenze oggi a disposizione.
L’uomo, nel corso dell’evoluzione, ha dimostrato di essere in grado di realizzare i propri insediamenti negli ambienti più disparati, dalle steppe fino ai tropici. La specie umana, nella sua permanenza sul pianeta, ne ha modificato il paesaggio, ne ha reso fertili i deserti, ha urbanizzato vaste aree, rendendo la sua permanenza possibile pressoché in ogni parte del mondo. Attualmente, però emergono con sempre maggior frequenza sintomi di malessere e disagio soprattutto per coloro che vivono nei grandi  insediamenti urbani, dimostrando,  come ci  sottolinea il  grande  studioso  di “etologia umana” Eibl-Eibesfeldt, che le capacità adattive dell’uomo, seppure notevoli, sono anch’esse soggette a dei limiti. Lo studioso individua tali limitazioni proprio nel percorso biologico evolutivo compiuto dall’uomo: dapprima cacciatore e raccoglitore, quindi, in periodi relativamente recenti, agricoltore ed allevatore, fino a divenire in tempi rapidissimi “uomo dell’era industriale e tecnologica”. Proprio quest’ultimo tratto evolutivo, per la sua velocità, riveste un’importanza cruciale: va commisurato con il fatto che “le nostre forme di pensiero e di percezione sono tuttora determinate in modo decisivo dall’eredità visivo-tattile dei nostri antenati che si arrampicavano sugli alberi (K. Lorenz, 1934)”.
L’attuale società moderna è caratterizzata dalla notevole presenza di nuove tecnologie, che pervadono ormai la vita quotidiana. Indubbiamente tale evoluzione tecnica ha apportato apprezzabili miglioramenti alla qualità della nostra vita, ma nel contempo ha anche generato nuove questioni da affrontare nei vari ambiti, compresi quello sociale e quello organizzativo urbanistico.
Focalizzando in questo senso la tematica oggetto della comunicazione, citiamo nuovamente Eibl-Eibesfeldt , il quale ricorda che “Se si vuole rendere più vivibile  l’ambiente urbano, è necessario tener conto di determinati bisogni sociali ed ecologici dell’uomo, bisogni che fra l’altro derivano dalla sua struttura motivazionale, la quale non è solo un prodotto del nostro ambiente attuale ma anche di una lunga evoluzione filogenetica che contribuisce a plasmare la nostra personalità.”
W. Moewes (1978) afferma che “l’uomo, con molta probabilità, è soggetto a una quantità di pulsioni geneticamente determinate che riguardano il suo comportamento relativo allo spazio, e che non devono essere trascurate troppo a lungo se non si vuole che diventino motivo di insoddisfazione”. L’uomo ha necessità di movimento, di stimoli,  di attività, di protezione, di identificazione, di orientamento, di privacy, di delimitazione territoriale e naturalmente di comunicazione: certamente tutti bisogni che affondano le loro radici  nel periodo in cui l’uomo viveva come cacciatore e raccoglitore.
La psicologia ambientale, a proposito dei luoghi dove l’uomo trascorre la sua esistenza, ha elaborato l’interessante concetto di “place-specific” (luogo-specifico). Alla luce di questo modello concettuale, i luoghi sono considerati come unità di esperienza cognitiva ambientale relativamente ad uno specifico setting, formato da tre basilari elementi: 1) gli attributi fisici del luogo, 2) le attività che in esso vengono svolte, 3) le rappresentazioni mentali sia cognitive che affettive ad esso connesse. Da qui, il luogo diviene primariamente l’unità di esperienza dell’ambiente, e come afferma M. Bonnes (1993), “ciò è a fondamento dell’identità spaziale, cioè dell’esistenza di una parte del sé individuale che risulta specificamente connesso alla particolarità dei luoghi in cui la persona si confronta durante tutto l’arco della vita”. Sono proprio questi luoghi-specifici, nei quali l’esperienza individuale si verifica con maggiore continuità e coinvolgimento anche affettivo, che “sono destinati ad entrare in modo costitutivo nella stessa persona umana, la quale può quindi sia diventare tendenzialmente diversa in relazione alla specificità e diversità dei luoghi con cui si confronta quotidianamente e nel corso della vita, sia sperimentare uno stesso  luogo in modi completamente diversi, in connessione alle diversità dei relativi ‘sé implicati’. ” (Bonnes 1993).
Da queste concettualizzazioni è immediato estrapolare che, così come l’uomo ha plasmato e plasma l’ambiente in cui vive, sia positivamente che negativamente, l’ambiente stesso esercita la propria influenza sull’uomo, ed anche qui, sia in modo positivo che in modo negativo.
Richiamando quanto detto in apertura a proposito del tempo trascorso nel proprio luogo di lavoro, risulta ora maggiormente comprensibile quanto ciò, sia consapevolmente, che inconsapevolmente possa influenzarci, generando sensazioni di benessere così come sensazioni di disagio.

Riteniamo necessario, a questo punto, soffermarci sulla definizione del concetto di ambiente:
esiste l’ambiente esterno, dato dal nostro intorno e inteso come insieme complesso di condizioni fisiche, chimiche e biologiche che permettono e favoriscono la vita degli esseri viventi;
esiste l’ambiente interno invece come porzione di spazio racchiuso tra pareti costruite;
e, come vedremo più avanti, riteniamo lecito aggiungere anche la presenza di un “ambiente psichico”.
Iniziamo ora ad esplorare le due prime tipologie di ambiente, quello esterno e quello interno.
L’ambiente esterno può essere definito secondo tre diverse dimensioni:
1) fisica 2) fisiologica e 3) percettivo-psicologica.
La dimensione fisica comprende tutte le manifestazioni energetiche quali:
radiazioni elettromagnetiche;
qualità e stato dell’aria, le cui proprietà comprendono molti aspetti riconducibili a forme di energia quali  temperatura – umidità – impurità;
vibrazioni e suoni (movimenti ondulatori), cioè il trasporto di energia prodotta dalle variazioni cicliche  di pressione dell’aria circostante;
calore associabile allo stato energetico dei corpi, come forma di energia che tende a rendere eguali le temperature degli elementi del nostro universo (non è possibile distinguere tipi differenti di calore ma è possibile definirne le diverse origini).
2) La dimensione fisiologica, corrisponde alla “percezione” umana dell’ambiente o meglio è l’insieme dei processi percettivi che permettono all’uomo di conoscere il proprio intorno a livello fisiologico.
L’uomo capta l’ambiente fisico (esterno e interno) mediante organi specializzati (chiamati recettori) ciascuno dei quali è sensibile a stimoli specifici. Le variazioni di questi stimoli fanno sì che i recettori producano messaggi che si trasmettono al sistema nervoso centrale (SNC) dove vengono “interpretati” congiuntamente in modo integrato: il risultato è una risposta sotto forma di nuovi impulsi che arrivano al Sistema Muscolare (risposte relazionali) o alle ghiandole (risposte vegetative) e con questi agisce direttamente sull’ambiente modificandolo.
Quindi, in questo processo di percezione dell’ambiente intervengono gli stimoli, i recettori, le fibre nervose di trasmissione (afferenti ed efferenti) e il SNC.
I recettori possono venire classificati in:
endo  percettivi, quelli che percepiscono il mondo fisiologico interno e si suddividono in cinestesici, cioè danno informazioni rispetto allo stato interno e hanno un’influenza indiretta sulla percezione e cinestesici che danno informazioni rispetto alla posizione del nostro corpo e hanno influenza sulla stabilità dei movimenti;
extra percettivi, ovvero che percepiscono il mondo esterno, e sono:
la vista, percezione di tipo prevalentemente direzionale
l’udito, istintivo e multi direzionale
l’olfatto e il gusto, reciprocamente legati, poco controllato il primo, senza estensione spaziale il secondo
il tatto, campo limitato alla superficie corporea, offre il massimo nel dominio dell’intorno
il senso algico, rileva le sensazioni dolorifiche, il suo campo è simile al tatto
il senso criostesico, senso termico che aiuta a regolare la temperatura del corpo, e può percepire alcune caratteristiche dello spazio architettonico per effetto delle radiazioni e dei movimenti dell’aria.
3) La dimensione percettivo-psicologica è implicata nella risposta sensoriale umana ed è influenzata dall’apprendimento e dalle esperienze precedenti, risultando conseguentemente caratterizzata da una notevole variabilità.
In questo ambito, vi sono comunque alcuni principi fondamentali che risultano generalmente validi: a) nessuna percezione è il risultato di un unico stimolo: nella realtà non esistono stimoli isolati, inoltre lo stato d’animo e la motivazione agiscono come stimoli interni in qualsiasi processo percettivo;
b) la percezione è il risultato dell’insieme delle caratteristiche innate dell’individuo e del processo di apprendimento; per questo motivo le caratteristiche psicologiche quali l’eredità culturale, l’acquisizione delle conoscenze e l’esperienza condizionano il processo percettivo e agiscono come elementi di regolazione e gerarchizzazione dei diversi stimoli.
A completamento di questo quadro, ci sembra sia importante, tenere presente il funzionamento biologico dei principali sistemi sensoriali umani, al fine di comprendere meglio le risposte umane alle variazioni ambientali.
Per quanto riguarda l’ambiente costruito, possiamo considerare la maggiore rilevanza di alcuni sensi rispetto ad altri, sia in relazione alla percezione dello spazio che dal punto di vista del comfort.
Con i termini comfort e discomfort ci si riferisce al piacere o al fastidio indotti dalle condizioni ambientali (esterne ed interne) in un determinato spazio. Va osservato come il comfort (o il  discomfort) possa essere una sensazione non cosciente che, in molti casi, viene riconosciuta  solo quando specifiche circostanze inducono a considerarla selettivamente.
E’ importante distinguere chiaramente quali sono le due categorie di agenti che influiscono sul comfort e precisamente: 1) i parametri ambientali di comfort, 2) i fattori di comfort dell’individuo.
1) I parametri ambientali di comfort sono manifestazioni energetiche che esprimono le caratteristiche fisiche ed ambientali di uno spazio abitabile, indipendentemente dall’uso dello spazio e dai suoi occupanti; questi parametri possono essere specifici per ciascuno dei sensi (termico, acustico o visivo) e questo permette la loro misura con unità fisiche già note (grado centigrado, decibel, lux ecc..). Altri tipi di parametri sono quelli generali come le dimensioni dello spazio, del tempo ecc.. che possono interessare tutti i sensi.
Lo spazio viene percepito con la vista e l’udito ed è soprattutto l’informazione acustica che permette di valutare alcune caratteristiche dello spazio che la visione non riesce a controllare; un altro elemento che concorre nella percezione dello spazio è la capacità di apprezzare la distanza.
In generale quando gli stimoli sono costanti nel tempo si ha un effetto di adattamento (perdita di sensibilità) che si produce sia a livello dello stesso organo di senso che del cervello.
2) I fattori di comfort dell’individuo sono condizioni esterne all’ambiente che influiscono sulla sua valutazione; infatti un medesimo spazio con identici parametri di comfort può determinare risposte molto diverse a seconda della variazione di condizioni: biologiche, fisiologiche (ereditarietà, sesso, età ecc.), sociologiche (tipo di attività, educazione, ambiente familiare, moda, tipo di alimentazione ecc.) e psicologiche di ciascun soggetto.
In sintesi, il comfort di un ambiente dipenderà tanto dai suoi parametri oggettivi quanto dai fattori individuali. Il compito base del progettista è dunque quello di disegnare ambienti vivibili. E’ pertanto necessaria una buona conoscenza sia dei parametri ambientali che dell’influenza dei fattori di comfort per saper consapevolmente individuare l’effetto delle sue decisioni.
L’utente e il progettista sono entrambi influenzati sia da necessità oggettive che di tipo simbolico e spesso risulta difficile individuare tra queste quali siano le più importanti per raggiungere un’efficacia reale nel progetto.
Il  comfort visivo è dato da tre parametri: uno è il livello luminoso (lux), il secondo l’abbagliamento, il terzo il colore della luce, cioè il tipo di colore della luce definito dalla temperatura di colore e dall’indice di rendimento del colore.
Al comfort acustico normalmente si tende ad associare il problema di rumori molesti, ma esistono altri fattori acustici importanti per la loro influenza sul comfort, occorre cioè distinguere i tipi di rumore secondo il livello (distruttori – eccitanti – irritanti) e secondo la distribuzione nel tempo.
Il comfort climatico è determinato da quattro parametri: temperatura dell’aria, temperatura radiante, umidità relativa dell’aria e velocità dell’aria .
Infine il comfort termico è dato da: gradi di attività motoria, vestiario, età, sesso, educazione, situazione geografica, periodo stagionale dell’anno.

Come abbiamo visto, la dimensione fisica dell’ambiente lavorativo che ci circonda, non può essere identificata solamente in termini di spazio organizzato e di oggetti contenuti in esso, ma anche attraverso attributi peculiari, quali stimoli acustici, termici, luminosi, ecc., che implicano direttamente le capacità sensoriali e percettive umane. Passiamo ora a considerare il concetto di “ambiente psichico”, come sopra annunciato. Le ricerche di psicologia ambientale, in presenza di luoghi confinati con caratteristiche disturbanti e capaci di determinare nelle persone condizioni di disagio psicofisico, hanno assunto quale riferimento basilare il concetto di “stress ambientale”, che, come esplicita Evans, indica “ogni situazione in cui le richieste ambientali nei confronti degli individui eccedono le rispettive capacità di risposta”. Tali risposte, che vengono generate nei confronti degli agenti disturbanti, indicati come “stress-ori”, svolgono primariamente la funzione di ristabilire il precedente equilibrio.
Come sottolinea Evans, sono due i filoni principali in cui la ricerca sullo stress si è principalmente sviluppata: l’uno, che trae origine dagli studi di Selye del 1956, centrato sui fenomeni fisiologici e sulle correlate reazioni degli organismi in risposta agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, l’altro, che si diparte dalle ricerche di Lazarus del 1966, focalizzato sugli aspetti psicologici presenti nella relazione individuo-ambiente, e principalmente sull’aspetto cognitivo con cui un soggetto interpreta il proprio ambiente, operando quindi una valutazione soggettiva del grado di rischio.
In ogni caso, qualsiasi posizione difensiva del soggetto nei confronti dell’ambiente circostante richiede l’utilizzo di appropriate strategie che implicano sempre l’impiego di energie, sia fisiche che psichiche.
E proprio in relazione a ciò, gli effetti degli stressori psico-socio-ambientali (questo nuovo termine viene inserito richiamandoci al modello psicobiologico di Pancheri) si traducono in “costi” che l’individuo deve sostenere per ristabilire la situazione  di benessere psicofisico.
La psicologia ambientale, considerando le strette interrelazioni esistenti tra i fattori ambientali ed i processi psicologici degli individui, consente un ampliamento di visione, in quanto si fa portatrice di una modalità più propriamente psicologica nel valutare la natura dei costi che lo stress ambientale implica, coniugando così la visione tecnico-fisiologica con quella psicologica.
Ad esempio, uno stimolo disturbante quale il rumore non è solamente uno stimolo acustico che supera una certa intensità, ma anche, come puntualizza Holahan, “un suono che l’ascoltatore non vuole ascoltare”, e che quindi non può certo favorire la concentrazione.
Le conseguenze negative generate da ambienti inquinati e da un’alta densità di popolazione, si manifestano in particolar modo attraverso comportamenti aggressivi o attraverso la tendenza all’evitamento dei propri simili, oppure ancora attraverso una diminuita disponibilità ad aiutare altre persone in difficoltà, minando così le capacità collaborative.
Il grado di illuminazione, se abbastanza intenso e di tipo naturale, pare favorisca l’aumento del livello di soddisfazione dell’individuo.
La temperatura, non disgiunta dal grado di umidità, soprattutto se troppo calda, sembra essere in rapporto con l’aumento degli incidenti sul lavoro.
L’arredamento è strettamente connesso ai bisogni di privacy, comunicazione e collaborazione, che possono quindi essere favoriti o intralciati.
La valenza pratica di tali concettualizzazioni è facilmente comprensibile allorché vengono calate in ambito lavorativo: un ambiente adeguato non può sopperire ad altre mancanze (ad esempio competenza e professionalità), ma un ambiente inadeguato ed insoddisfacente può certamente incidere negativamente sui livelli di soddisfazione psicofisica del personale, limitandone il rendimento effettivo.
Oltre ai parametri precedentemente illustrati, la Psicologia Ambientale sottopone allo studio tecnico-architettonico la considerazione dell’angolatura psicologica anche per elementi quali la forma e la natura.
In questo senso è importante che il progetto architettonico tenga conto, prendendone spunto, anche delle forme naturali, che in quanto “vive”, “scorrevoli” e “morbide”, consentono il trasferimento di tali caratteristiche all’edificio stesso. I popoli dell’antichità sovente prendevano a modello gli elementi della natura che li circondava, come basi analogiche della costruzione: l’arte ogivale ricalcava la forma di un germoglio, i preziosi fregi decorativi si ispiravano sovente a motivi floreali, le armoniose colonne analogamente ad un albero erano dotate di un basamento, di un fusto e di capitelli variamente elaborati, quali chiome di foglie, rami e frutti. L’interpretazione psicologica di tale fenomenologia ci è suggerita dalle annotazioni di Eibl-Eibesfeldt, il quale  evidenzia come sia importante per la razza umana il ritorno alla primordiale e filogenetica “fitofilia”. Infatti, gli studi antropologici, sembrano confermare che il processo di ominazione sia avvenuto nella savana e proprio questo spiegherebbe la preferenza innata della nostra specie per questo biotipo. Pare dunque elettivamente legato a tale motivo il fatto che nell’arte, ma anche in certa progettazione architettonica, come nell’arredamento compaiano motivi che richiamano sovente fiori e piante.
In genere, in natura, eccezion fatta per il regno minerale, non si incontrano forme aguzze, angolari, aspre, ma più spesso forme  morbide, tondeggianti, curvilinee, a spirale o ad ellisse. Portare queste forme naturali negli spazi confinati, quindi anche negli ambienti lavorativi, può favorire la percezione di un ambiente maggiormente confortevole. Il noto pittore viennese Friedensreich Hundertwasser, esprime, con notevole crudezza ed enfasi, il suo punto di vista in merito: “..la linea diritta rappresenta l’unica linea non creativa. …… . Il nostro intelletto è stato influenzato da anni e anni di indottrinamento che ci porta a supporre con convinzione che la linea diritta è uguale al progresso, ma nel nostro subconscio (meglio usare il termine inconscio – n.d.r.)  suona continuamente una campana di emergenza. Quando siamo in città esposti a linee diritte, soffriamo di emicranie, non ci sentiamo bene senza conoscerne il motivo. La gente diventa violenta, senza un’apparente perché. Tutte queste linee diritte stanno distruggendo completamente il nostro mondo e le nostre anime. Io trovo che questa architettura sia criminale. Rappresenta la distruzione dei nostri sogni e dei nostri legami con la natura e la bellezza.”

Oggi la fisica quantistica ci conferma scientificamente che siamo immersi in grandi campi di energia e che siamo energia noi stessi in continua interazione con i primi; se l’equilibrio di questa interazione si rompe la salute dell’uomo  può subire gravi danni.
L’impostazione tecnologica e progettuale massificata e standardizzata ha annullato di fatto la visione olistica dell’uomo come entità psicosomatica portatrice di affetti, fisicità, attività e spiritualità. Il benessere psico-fisico dell’uomo e l’integrità dell’ambiente naturale (per quanto ancora possibile) sono a nostro avviso da considerare anche professionalmente come valori etici. Occorrerebbe quindi una visione dell’architettura  meno estetica e più etica-ecologica e globale-psicosomatica, nel senso di renderla più primitiva e più raffinata.
Più primitiva per andare incontro ai bisogni umani fondamentali sia fisici che psichici e per servire da tramite/intermediario nel rapporto dell’uomo con il mondo/ambiente; più raffinata per adattarsi ai sistemi ciclici della natura.
Secondo la nostra personale esperienza, progettare per l’uomo come totalità vuol dire per l’architetto sia abbandonare la visione “egocentrica” dell’artista che lascia i segni della sua personale autoaffermazione, sia superare l’impostazione univoca di tipo tecnologico ed economico, sia confrontarsi con altre figure professionali (medico, fisico, biologo, ecologo, sociologo) ed in particolare con lo psicologo ambientale, in una dimensione collaborativa e di integrazione professionale. Ciò significa recuperare la naturale alleanza dell’uomo con l’ambiente, che si manifesta con il benessere psico-fisico dell’uno e con l’equilibrio ecologico del secondo.

Per richiamare il contesto di partenza oggetto di questa relazione, possiamo concludere sottolineando che lo spazio confinato lavorativo deve poter offrire agli occupanti opportunità di “benessere”, sia fisico-architettonico che psico-socio-ambientale, imponendo loro il minor “stress ambientale” possibile: questo è l’obiettivo di fondo che accomuna e nel contempo rende proficua l’integrazione tra Psicologia Ambientale e Progettazione Architettonica.

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